Intorno agli anni ’80, l’antropologia medica si è avvicinata alla psicologia cognitiva per poter comprendere meglio quali siano a livello individuale i processi di pensiero coinvolti nella elaborazione dei concetti di salute e malattia. È stato proposto da parte di un gruppo di ricercatori nordamericani, Good, Kleinman e Young, di distinguere all’interno del generico termine sickness (che indica condizione disfunzionale e di disagio): –l’esperienza soggettiva di malattia sia fisica che psicologica, quella che Young ha definito ‘’antropologia della malattia vissuta’’; ciò che si discosta dal concetto di salute (disease) cioè, secondo il modello medico, l’oggetto della diagnosi del medico. Questa distinzione ha permesso di focalizzare l’attenzione sul paziente in quanto soggetto che porta al medico non solo la propria malattia, ma il proprio personale vissuto ed essa connesso.
Di fronte all’evento malattia (disease) gli individui adottano modelli esplicativi che riguardano la manifestazione dei sintomi, l’evoluzione della malattia e il trattamento. Essi definiscono i ruoli, norme di comportamento, aspettative rispetto alle proprie e altrui azioni di fronte alla malattia. Il loro utilizzo rappresenta un tentativo, che non necessariamente ha successo, di affrontare le preoccupazioni e le ansie dovute alla malattia all’interno di un contesto sociale dove solo alcune forme di disturbi sono riconosciute come reali (disease).