Ci siamo. L’uomo ha iniziato a colonizzare altri mondi. Non è un evento molto lontano dalla realtà. Grazie alle sonde Cassini (per citare la missione più recente) e la ormai lontanissima Voyager1 (partita, guarda un po’ che coincidenza, quando uscì il primo “Guerre Stellari” nelle sale americane nel 1977), gli scienziati da tempo stanno cercando di conoscere meglio lo spazio e gruppi di cervelloni a trovare un modo per bypassare il problema delle radiazioni solari e come sopravvivere nell’immensità dell’universo.
A quarant’anni dal lancio di Voyager 1 e 2, le sonde stanno ora viaggiando nello spazio interstellare, oltre i confini del nostro sistema solare, a 20 miliardi di chilometri dalla nostra stella.
Ci vorranno ben 19 ore per captare un messaggio dalla Voyager 1 con il messaggio che viaggia, più o meno, a 300.000 km al secondo. A pensarci bene è una grande conquista per l’umanità; è la prima volta che una nostra sonda supera lo spazio, che non è mai stato attraversato da un oggetto di creazione umana.
Mentre il disco a bordo della Voyager riporta suoni, musiche e immagini del nostro pianeta, ad avvicinarci a questa realtà ci ha pensato il regista Morten Tyldum, da una sceneggiatura di Jon Spaihts, con la pellicola “The Passengers”.
The Passengers
Come suggerisce il titolo, l’astronave Avalon sta trasportando cinquemila passeggeri per raggiungere la nuova colonia “Homestead II”. La Terra è sovrappopolata e le grandi metropoli sono l’unico posto vivibile. Con diversi prezzi per i biglietti e quindi diverse agevolazioni, la Avalon offre l’occasione all’umanità di creare una nuova “vita extramondo”.
Complimenti per la creazione dell’astronave, che non appare come quelle a cui ci avevano abituati le produzioni dei tanti “Star Trek” o “Guerre Stellari”. Qui si tratta di una visione ingegneristica molto realistica.
Essendo il viaggio nello spazio legato alle leggi di rotazione sul proprio asse, la nave ha una forma elicoidale. La prua emette una serie di gas e lampi di energia che permettono di creare uno scudo anti-radiazioni e anti-urto, quest’ultimo fondamentale soprattutto in caso di una pioggia di meteoriti o detriti di qualsiasi genere.
Peccato però che non sia affatto a prova di meteoriti, come sosteneva la campagna pubblicitaria della compagnia produttrice. Proprio a causa di una collisione con uno di questi ammassi rocciosi, a soli trent’anni dalla partenza (l’arrivo è previsto in centoventi anni terrestri), l’urto con l’enorme oggetto provocherà una serie di problemi ai sistemi della nave ed erroneamente danneggerà la capsula di ibernazione dell’ingegnere meccanico Jim Preston (interpretato da Chris Pratt).
Non ci vorrà molto perché il nostro protagonista, svegliato erroneamente dal sonno “criogenico”, scopra di essere l’unico desto in tutta l’astronave. Il problema, un grosso problema, è che mancano ben ottantanove anni all’arrivo sulla colonia extramondo.
Ovviamente la sua capsula non può ricreare il sonno di ibernazione e nemmeno essere riparata in alcun modo.
L’unico compagno di viaggio è il robot-barista Arthur, interpretato dal bravissimo attore inglese Michael Sheen.
Per più di un anno i due saranno protagonisti di intense chiacchierate filosofiche sul bordo del bancone bar; peccato però che Arthur sia solo un robot e spesso non comprenda il complesso e profondo pensiero umano.
Sembra che l’intento degli sceneggiatori sia stato proprio quello di mettere in evidenza i limiti di una “intelligenza artificiale” mostrando il personaggio di Arthur e tutti i suoi limiti caratteriali.
Quando una semplice (e complessa) equazione matematica, come può essere un software, ha un problema al di fuori della portata di ciò che gli è stato programmato, tutto il sistema collassa e il pensiero umano non può più interagire con esso perché in completo tilt.
Si viene a creare così un muro insormontabile dove l’unico modo per abbatterlo può essere solo l’intelligenza umana, fatta non solo di capacità manuali e intellettive, ma anche filosofiche e sentimentali. Elementi che ancora non possono essere sostituiti da un software.
I robot-assistenti sparsi per tutta la nave durante il film rispondono ostinatamente che è impossibile che una capsula criogenica possa rompersi e alla domanda sul da farsi in caso di tale avaria, i robot non sono assolutamente in grado di risolvere il problema.
Il protagonista dovrà combattere con un altro grande sentimento che ci rende umani al cento per cento: la solitudine.
Purtroppo i nuovi mezzi “social” di oggi non hanno minimamente offerto una pura condivisione; tutto è comunque legato al mondo digitale che non potrà mai sostituire lo sguardo, l’intonazione e il vero linguaggio fisico tra due persone che realmente si trovano l’una di fronte l’altra.
L’essere umano geneticamente è predisposto a cercare suoi simili per interagire e creare collegamenti di pensiero e contatti col sesso opposto per riprodursi. L’uomo è nato per condividere, da solo rischia di morire.
Proprio a questo pensiero si attacca il nostro protagonista cadendo nel dubbio se “svegliare” o no una bellissima donna scrittrice e giornalista su cui gli è capitato di far cadere gli occhi, che neanche a dirlo è interpretato dall’affascinante (nel suo perfetto aspetto “acqua e sapone”) Jennifer Lawrence.
La narrazione procede offrendo spazio all’idea di amicizia, fratellanza ed ai sentimenti di cuore, anch’essi legati strettamente alle caratteristiche inderogabili dell’essere umano.
Da romanzo rosa nel quale è perfettamente calato, il film mostra anche momenti di suspense e momenti di azione nonché bellissimi effetti speciali.
Insomma, senza svelare troppi spoiler, possiamo affermare che The Passengers è un film godibilissimo e d’intrattenimento, che pur nella leggera commedia rosa in cui è immersa la sceneggiatura può suggerire punti di vista e riflessioni sulla natura della vita, il suo significato e la sua essenza.
Due cameo sono riservati a questa pellicola: due attori ormai da considerarsi “mitologici” del cinema americano degli anni ‘80 . Lascio a voi l’emozione di scoprirli e goderveli da soli, specialmente se appartenete alla generazione del secolo scorso, quando tutto era analogico ma si iniziava ad intravedere un po’ di futuro.
In passato, quando eravamo muniti di un’apparecchiatura VHS, potevamo riavvolgere il supporto digitale fatto di una cassetta che era fisicamente presente nelle nostre mani.
Proprio come abbiamo già esposto in precedenza, il vero intento della narrazione è quello di far capire che non può esservi una intelligenza artificiale, seppur avanzata, che possa emulare le emozioni di una vita da condividere. Un software non potrà mai arrivare a tanto.
La vita, anche nell’immensità di uno spazio profondo e prigioniera di una struttura di metallo, può comunque essere valida se c’è il pensiero umano, inteso come filosofia, e se si è in due.
Perciò, in questi tempi bui dove si è perso il senso di molte cose, “riavvolgiamo il nastro” e ricominciamo tutto da capo con maggiore accortezza riguardo i sentimenti fondamentali della nostra esistenza.