Nella realtà contemporanea parlare della morte implica considerarla secondo 2 prospettive, quella ‘’sociale’’ e quella più intima dell’esperienza personale. Nel primo caso la morte è presente in tutti i momenti della vita, può essere una morte guardata al telegiornale, in un film,ascoltata alla radio,nella nelle pagine delle riviste… sono comunque tutte immagini della morte mediate dai mezzi che le trasmettono, per cui la realtà della morte rimane lontana, grazie alla quale è possibile parlarne senza essere travolti da emozioni forti. Quando la morte si presenta senza filtri, nella sua concretezza, allora diviene difficile affrontarla. Il verdetto medico che decreta la morte in un tempo che può essere più o meno prossimo distrugge la rassicurante indeterminatezza riguardo al momento del suo inevitabile verificarsi. Kubler-Ross (1969) ha individuato una serie di fasi che caratterizzano la reazione alla comunicazione della propria morte: fase della negazione e del rifiuto (si cercano strategie per allontanare il problema, come il pensare a un errore di diagnosi o a esami scambiati); fase della collera e della rabbia (sentimenti rivolti ai familiari e al personale sanitario, i quali possono rispondere o con ostilità o con comportamenti abbandonici aumentando lo sconforto del paziente); fase del compromesso e del patteggiamento (con Dio, la sorte, i medici, i familiari, con se stesso, si cerca di trovare un rimedio alla disperazione e alla sensazione di mancanza d’aiuto); fase della depressione (subentra con l’aggravarsi dei sintomi, fase preparatoria al distacco dal mondo); fase dell’accettazione (ultima tappa del cammino verso la morte in cui l’incredulità, la collera, paura, depressione sono superate).
Rapporto con la morte
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